Recensione: "Suite francese" di Irène Némirovsky

Salve a tutti cari readers, come state? 💖

Il libro oggetto della recensione di oggi è “Suite francese” di Irène Némirovsky, una lettura che ho deciso di fare a seguito della visione del film (del 2014) del quale mi sono perdutamente innamorata.

L’ho trovata una lettura molto interessante, riflessiva e profonda.

Il libro è diviso in due parti, la prima dal titolo “Tempesta di giugno” e la seconda dal titolo “Dolce”, ma è un incompito. Mi spiego meglio: l'idea iniziale dell'autrice era quella di creare un libro di oltre 1.000 pagine e dividerlo in 5 parti, ma di queste cinque parti soltanto le due sopra citate sono state effettivamente scritte.

“Tempesta di giugno” narra l’esodo dei parigini, dove per ogni capitolo seguiamo il “viaggio”, o meglio la fuga, degli “sfollati” (così vengono definiti coloro che stanno scappando dalle proprie case) dalla minaccia tedesca. In questi capitoli si evince come ognuno la pensi a proprio modo, anche per quanto riguarda ciò che gli è più caro: c’è chi, nonostante il momento così difficile e cupo, pensa solo ai propri interessi e preferisce scappare portando con sé i propri manoscritti piuttosto che la sua vita, chi è preoccupato di salvare il suo denaro, o chi si concentra solo sulla salute e sul benessere dei propri figli lasciando morire di fame gli altri, e ancora chi preferisce salvarsi la pelle dimenticando tutto il resto …

Insomma, troviamo tante personalità diverse accomunate solo dal grave momento storico che stanno vivendo.

Vi propongo una piccola riflessione, a partire da una citazione, che si ripete spesso nelle pagine:

-“L’armistizio è stato firmato?”

Il tedesco allargò le braccia.

“Non lo sappiamo ancora. Speriamo.” Disse.

E l’eco di umanità di quella frase, di quel gesto, era la prova evidente che si aveva a che fare non con un mostro assetato di sangue ma con un soldato come gli altri, e questo ruppe all’istante il ghiaccio tra il paese e il nemico, tra il contadino e l’invasore.

 Questo per farvi capire l’umanità che l’autrice vuole in qualche modo mostrare, di vincitori e vinti, tra una popolazione spaventata e il nemico, che in fin dei conti è un uomo così simile agli altri.

 In “Dolce”, la storia cambia e viene narrata l’occupazione dei tedeschi in un piccolo paesino francese, Bussy, dove i protagonisti sono i suoi abitanti costretti a convivere con il tanto odiato nemico.

In questa parte ci si concentra su Lucile, una giovane donna il cui marito si trova prigioniero di guerra, e che a seguito dell’occupazione tedesca e l’arrivo del tenente Bruno nella sua casa, inizia a rimuginare sui suoi sentimenti per il nemico.

C’è una parvenza di romanticismo tra invasore/nemico e cittadino, ma sono purtroppo più deboli della guerra...

Per concludere vorrei soffermarmi anche su un altro aspetto che è forse ciò che più mi ha colpita lasciandomi senza fiato, ovvero la storia dell’autrice. Ho scoperto infatti che la Némirovsky non racconta eventi immaginati, ma bensì ciò che realmente è accaduto a lei e introno a lei.

Molte volte durante la lettura ho pensato “chissà se questa cosa l’ha provata lei o qualcuno di sua conoscenza …” e non nego di avere avuto i brividi.

Inoltre alla fine del libro sono presenti lettere scritte dal marito dell’autrice, dall’autrice e da alcuni dei suoi più cari amici in cui si chiede aiuto, poiché dovete sapere che la Némirovsky è stata deportata e uccisa nei campi di concentramento … questa infatti è stata la principale ragione che non le ha permesso di terminare il libro e che mi ha causato un vero colpo al cuore …

Voi avete letto “Suite francese”? Che cosa avete provato durante la lettura?

Prima di chiudere vi lascio qualche altra citazione che mi ha lasciata senza fiato, e chissà potrebbe convincervi a leggere questo intreccio di storie meravigliose:

-“E allora? Tedesco o francese, amico o nemico, è innanzitutto un uomo e io sono una donna. Con me è dolce, tenero e premuroso …”

-“La prego, in mio ricordo, di aver cura della sua vita il più possibile.”

“Perché conta qualcosa per lei?” le domandò lui con ansia.

“Si, per me conta.”

 


 

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